Le nostre specialità
        
            
            Faretti di Besozzo
            Novità della pasticceria: sono Faretti di Besozzo, che hanno ottenuto dal Comune la Denominazione Comunale di Origine;
    prodotti in tre varietà ed elegantemente confezionati, richiamano il gusto del biscotto
    antico.
            
             La storia
                 
                 Come in molte località della nostra penisola si trovano deliziose specialità 
                dolciarie legate al territorio, anche Besozzo, da ora, non fa 
                eccezione.
               
         
          
        
            
         
        
        
        
        
            Recuperare una antica ricetta, farne un biscotto che, come allora, rispetti le 
                materie prime locali è stata, per il pasticcere Fulvio Sartori, una scommessa. 
                Vinta, dal momento che i “Faretti” hanno preso corpo; biscotto stampato a mano, 
                cotto in forno leggero, raffreddato a temperatura ambiente, dall’aspetto 
                rustico, confezionato in modo semplice, ci fa riscoprire i sapori di una volta. 
                Sfogliando le pagine della storia di Besozzo si noterà che lungo il corso del 
                fiume Bardello, era tutto un fiorire di attività ad esso legate.
                
                Già nella metà del 500, quando il Borgo contava poco più di ottocento anime, 
                sulle rive si allineavano diversi mulini, alcuni dei quali servivano alle prime 
                cartiere. C’erano: una fola per la produzione della lana, sette cascine e 
                quattro mulini uno dei quali è sopravvissuto sino a qualche decennio fa. I 
                contadini conferivano le granaglie, prodotte nei loro campi, per farne farine 
                che i forni domestici trasformavano in pane, polenta e dolci per la mensa della 
                famiglia.
                
                Il grano veniva suddiviso in grano tenero e grano duro e la macina in pietra, 
                con il suo lento ruotare spinto dall’acqua, separava prima i grani di frumento 
                dal tegumento che le ricopre, li macinava per farne farine dei due tipi di grano 
                e lo lasciava integro per la farina integrale; macinava gran turco per farne 
                farina gialla e fioretto per i dolci. La produzione alimentare era a circuito 
                chiuso: quello che veniva prodotto si consumava sul territorio; oggi diremmo che 
                erano a chilometro zero.
                
                Nacque così, in questo contesto, un biscotto che nella sua composizione 
                racchiudeva i prodotti del territorio: farina di grano tenero mischiata a quello 
                duro, un po’ di fioretto, dello strutto, le uova, lo zucchero e un po’ di cremor 
                tartaro per la lievitazione: una ricetta povera come gli ingredienti che lo 
                componevano. La ricetta è sopravvissuta grazie ad un fornaio del paese che ne ha 
                prodotti fino a quando l’ultimo mulino non ha cessato di macinare farina.
                
                Grazie all’Antica Arte Pasticcera, ai suoi titolari che ne hanno rinverdito il 
                sapore ed in onore al faro, simbolo cittadino eretto di certo non per indicare 
                la rotta ai naviganti, ma la retta via ai terrestri, oggi i “Faretti di Besozzo” 
                sono pronti di nuovo per allietare il maggior numero di palati. Ad avvalorare la 
                peculiarità di questi biscotti, il Comune di Besozzo ha ritenuto di insignirli 
                con la Denominazione Comunale di Origine appositamente istituita.
                
                Maria Luisa Barbini Cioffari
             
          
         
       
         
         Lo Scartuzzin
             
          
             
                 
Così erano, da tempo immemore, soprannominati gli abitanti di Besozzo e di una 
                 parte dei comuni limitrofi tra i Laghi di Varese e Maggiore. Quando gli uomini e 
                 le donne andavano a lavorare si portavano in tasca uno fagottino contenente il 
                 loro frugale pasto; lo portava il carrettiere, il mugnaio, la filarina quando 
                 andava in filanda, il contadino nei campi, gli operai delle segherie e nelle 
                 fole. Non avendo il tascapane, roba da ricchi, avvolgevano il pane ed il cacio 
                 in un canovaccio di tela grezza, dura e lo accartocciavano quasi fosse carta, 
                 facevano uno scartozz; da lì il nome dato a coloro che lo utilizzavano. La 
                 tradizione popolare ne conserva il ricordo con la maschera del Re Scartozz e 
                 della Regina che fanno la loro comparsa durante il Carnevale.
             
                 L'Antica Arte Pasticcera ha voluto 
                 dare nuova vita al vecchio cartoccio e ne ripropone una versione moderna e più golosa; 
                 contiene un assortimento di biscotti frollini per tutti i gusti e tante forme, 
                 l'ha chiamato: Scartuzzin.